Put up his Alluminium tree.
It looked pretty strange
Because he couldn't really see.
Tim Burton, Melancholy Death of Oyster Boy & Other stories.
Benvenuti in questo spazio di nulla strutturato
Il posto si chiama Consonno.
Consonno era un piccolo borgo situato
ora in provincia di Lecco. Un normale paesino agricolo. Il suo destino fu però deciso durante l’epoca della speculazione edilizia da un Conte con una grande voglia di sperperare denaro e manie di grandezza. Decise di comprare il paese, cacciarne la gente e radere al suolo la sommità della collina. La sua idea era quella di costruire una specie di paese dei balocchi.
Un parco a tema forse. Locali, negozi, discoteche, hotel; tutto in stile orientale. Si comincia a costruire; l’albergo e i negozi in stile arabo sui quali trionfa un alto minareto, la discoteca, pagode e ponticelli cinesi, colonne greche (che poco centrano con lo stile orientale ma vabbè)… lungo la strada archi di ferro decantano le lodi del paese “Consonno il paese più piccolo e più bello del mondo” o “A Consonno si è sempre felici” e via dicendo.
La gente arriva, forse si diverte, forse lo trova bello, forse folle…
Ma qualcosa comincia a non andare, la strada per raggiungere il paese crolla, i materiali scadenti usati per costruire cominciano a cedere ed a poco a poco, struttura dopo struttura Consonno comincia a diventare una città dei balocchi fantasma.
E la decadenza prende piede. Gli archi sono arrugginiti, le lettere mancano o sono illeggibili. Dopo 30 anni la flora ha preso il sopravvento, i ponticelli cinesi sono pericolanti. La grande struttura araba è ancora piena zeppa di divani, letti, coperte, tutte alla moda dei tempi. Salendo per la stradina diroccata si trovano lampioni sradicati per terra, edifici distrutti.
Ed è questo che mi piace di questo posto. L’emozione che mi da questa atmosfera. Il contrasto della bruttezza e del fatiscente con il “paese più bello del mondo”. Trovare l’arte in queste cose forse è difficile, e son sicura che molti mi reputino pazza. Ma per me c’è ed è li. Un arte beffarda certo, un arte che racchiude da una parte l’esagerata follia umana e dall’altra la lenta ma costante rivincita naturale. Uno schiaffo per l’uomo ambizioso oltre ogni limite, uno schiaffo alla bellezza. L’altra faccia della medaglia; la bruttezza, la tristezza, la miseria. Edifici che urlano a gran voce “La felicità non sta più qui”, ora c’è solo terra, erba, mattoni caduti, famiglie che fanno pic nic primaverili sui prati circostanti, ragazzini che prendono a pallonate i lampioni per vederli cadere. E poi ci sono io; eterna affascinata delle cose labili. Eterna amante delle cose che deperiscono, delle ironie della vita. Ed ogni volta che percorro quella stradina tra i boschi e vedo scorgere a distanza la punta del minareto mi si stringe lo stomaco. Perché quello è il mio santuario. Ci sono posti che per alcune persone fungono da santuario. Di estetica, di bellezza, di emozioni contrastanti anche di indifferenza perché no. Come può un posto così essere bello? Non riesco a spiegarlo, o forse non lo so. Ma la misticità è data forse anche da questa confusione che mi trasmette… Consonno il luogo dei contadini sfrattati, il luogo di divertimento dove i miei genitori passarono i loro primi mesi insieme e ora luogo che decade, mattone dopo mattone, guardato con distacco dagli unici residenti: un gruppo di vecchi di una casa di riposo, che sorvegliano placidamente quello che un tempo fu e forse non è mai esistito davvero.
Nelle foto; il minareto ed un ponticello cinese su uno stagno. Foto prese da www.consonno.it
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