mercoledì, agosto 23, 2006

Il sogno di un bambino è andare a Gardaland?

Ma che cazzo.
Non so saranno 6 o 7 anni che voglio andare a Gardaland e per qualche stupida ragione non ci riesco... Sabato per qualche strano miracolo di iddio riusciamo ad organizzare di andarci... ed ovviamente nn va un cazzo bene.
Il parco è talmente pieno che addirittura la Valle dei Re (attrazione rinominata per essere SEMPRE deserta) ha la coda e penso per la prima volta dall'innaugurazione possa vantarsi di utilizzare il serpentone incanala coda.
Come se non bastasse appena ci mettiamo in coda per Fuga da Atlantide, che non avevo mai fatto ed era praticamente l'attrazione che aspettavo con più ansia, la fottuta giostra si rompe. Verrà riaperta nell'ordine "Più in la'" "Questa sera" "Tra ore ed ore" "Non riapre più". Perfetto.
Qualche ora dopo arriva il colpo di grazia. Un black out mette al tappeto mezzo parco. Quando avviene siamo dentro la Valle dei Re, ci fanno aspettare 10 minuti dentro l'attrazione nelle mani di quegli orribili manichini che con la luce d'emergenza accesa sono ancora più inquietanti e alla fine una voce tuona dall'alto "Ok Ragazzi, dobbiamo evaquare"... ed evaquazione sia, veniamo lasciati a noi stessi gironzolando per l'egitto con gente che si attacca ai manichini e ai mostri facendosi foto prima di prendere la prima via d'emergenza verso l'aria.

Il black out ovviamente non è momentaneo e partono una ad una diverse giostre (tra le quali i Pirati che non ho potuto fare, le montagne russe e il nuovo Sequoia Adventure).
La sera si gira con le tenebre... la zona dei pirati è quasi completamente al buio... ovviamente decidiamo con arguzia di andare a mangiare alla taverna del bucaniere e ci mettiamo 2 ore ad ordinare perchè ogni 3 secondi andava via la corrente... quasi tutta la zona è spenta per permettere alle montagne russe di funzionare... un atmosfera dark come solo nei miei incubi da bambina quando rimanevo chiusa dentro il colorado boat tutta notte. Facciamo un giro sulla monorotaia e quando finiamo ringraziamo il cielo sia durato poco...
Menomale che sono stata a Gardaland ragazzi... mi sono tolta uno sfizio che avevo sul groppone da anni... ahh la soddisfazione.

giovedì, agosto 17, 2006

Berlin part 2

La colazione nella nostra pensione viene servita in una stanza attorno ad un grande tavolo tutti insieme, questo già crea dei problemi al mio moroso che è antisociale per eccellenza. Entriamo e ci troviamo una manciata di pensionati tedeschi (a quanto pare il target classico dell'albergo) che parlano tra di loro in allegria. Non capiamo assolutamente nulla ma scorgiamo la parola "italienisch italienisch" ripetuta diverse volte. Appena capiscono che NOI siamo italienisch cala un certo silenzio nella sala e tutti cominciamo a mangiare con rigore.
La mattina andiamo al Checkpoint Charlie; ed è proprio una cagata. Il terzo checkpoint americano non è altro che una fila di negozietti dove vendono qualsiasi cosa riguardante il muro, qualche imbecille vestito in divisa che si fa fotografare con i soliti turisti squallidi e le riproduzioni dei cartelli "You're leaving the American Sector bla bla". Apprezzabile solo le foto e i cartelloni esplicativi che ho solo letto per metà grazie a qualcuno che si era stancato di leggere "cose tutte uguali".

Non ci tratteniamo molto in questo posto inutile e ci dirigiamo (rigorosamente a piedi ... evidentemente odiamo la comodità) al Museo Ebraico.
La prima parte è davvero atroce. Nel senso crudo della parola. Il pavimento è in salita e storto, un senso opprimente e tortuoso per risaltare la storia del popolo. All'interno si incrociano due assi; L'asse dell'esilio rappresenta le varie emigrazioni ebraiche e porta al Giardino che altro non è che un campo di colonne di cemento su di un terreno ciottolato e inclinato che ti da una sensazione strana di malessere e nausea camminarci dentro. L'asse dell'olocausto invece porta alla Torre dell'olocausto; uno spazio vuoto e freddo dentro una torre con una piccola luce che filtra solo dall'alto per ricreare la sensazione di perdita di umanità cultura e vita.
L'altra parte del museo parla della storia del popolo ebraico con molti contenuti interattivi e divertenti che stemperano non poco il senso di malessere che si ha all'entrata.
Il pomeriggio ci facciamo un giro per il quartiere ebraico giusto per rimanere in tema e passiamo qualche ora sprofondati nelle grandi poltrone di Starbucks a farmi la mia dose di frappuccino e muffin (una delle grandi pecche italiane ma volete aprire un cazzo di Starbucks???).
La mia brillante idea di salire sulla torre della televisione ci fa sorbire circa 50 minuti di coda con un ciccione italiano che si crede di fare il brillante continuando a dire stronzate come "ah si nella seconda entrata c'è molta meno coda ohohoh".

Il giorno dopo piove e decidiamo di andare a vedere lo Stadio Olimpico. Ovviamente disseminato di italiani che intonano i loro cazzo di "poropopo" e appendono bandiere italiane sugli spalti (tempo 30 secondi ed un omino tedesco esce con cattiveria e strappa via ogni bandiera). Anche lo stadio come il resto di Berlino non è da meno in quanto a storia.
I resti dello Stadio Olimpico costruito da Hitler nel '36 ci raccontano più di quanto mi sarei aspettata e la gita che era iniziata come qualcosa di puramente celebrativo diventa ancora una volta storia pura girando tra i vari cartelloni esplicativi.

Il pomeriggio invece andiamo a Fridrichstein a vedere la East Side Gallery, la parte più lunga del muro rimasta, 1 km e mezzo di graffiti posti sul lato est, quello che durante la divisione era intoccabile, bianco e lindo. Ed è li che ti rendi conto di quanto atroce era vivere con un muro; lo vedi snodarsi lungo la strada e seppur lungo poco più di un kilometro ti da quella strana sensazione di oppressione che ti fa pensare; se mi sento oppressa io per un minimo pezzo di muro chissà come ci si poteva sentire in gabbia a viverci in quel periodo.

continua...

mercoledì, agosto 16, 2006

Berlin part 1

Sono tornata con molta malavoglia da Berlino e devo dire che ci ho decisamente lasciato un pezzo di cuore. Me lo aspettavo... ma tornare poi è dura.
Perchè quando sei li in mezzo e ti guardi intorno, persino con occhio ignorante come il mio, lo senti che sei in un posto diverso e speciale. Te ne rendi conto subito appena ci metti piede.
Il volo è stato stranamente calmo nonostante giusto il giorno prima fosse scosso da casini terroristici... ci fanno addirittura guardare friends; peccato che le cuffie costino 2 euro. Fortuna che so tutte le puntate a memoria e rido delle battute anche senza sentirle.

Il nostro albergo si trova a Charlottemburg in una bella via alberata e più che un albergo è un appartamento con 8 stanze, la signora non parla inglese e ci mettiamo due ore per comprenderci: le chiedo se devo pagare ora o alla fine e lei come risposta mi spiega a cosa servono le varie chiavi... alla fine decido di ignorare il pagamento e partiamo per il centro.
In centro vengo giustamente presa da euforia e voglio vedere tutto più in fretta possibile, cominciamo a camminare come ossessi seguendo il percorso della Lonley Planet (lasciata poi stare dal secondo giorno in poi dopo aver notato che il 70% degli italiani gira con quella guida e dopo esserci trovati noi e altre due coppie di italiani davanti ad una palestra di Judo cercando "il kebab più buono della città"), io mi guardo attorno come una bambina in un negozio di gioccatoli puntando il ditino su ogni cosa che vedo "La torre della televisione! Il Berliner Dome! Gendarmenmarkt! La porta di Brandeburgo!" cercando ansiosa tracce della divisione, la differenza delle architetture, fermandomi ad ogni memoriale che si incontra sulla strada, respirando l'atmosfera del contrasto. Mi ritrovo sorpresa a vedere una città allegra, colorata, la mente mi aveva sempre portato a immaginarmela malinconica per via della sua storia... invece neanche il cielo grigio riesce a stemperare la vivacità.
Passeggiamo per Tiergarten con le poche forze rimaste e finiamo il nostro pomeriggio alla Kaiser Wilhelm Gedachtniskirche, la chiesa della memoria distrutta nel 1943 dalle bombe alleate. La guardo con un groppo in gola per poi entrare nella chiesa ottagonale a lato per angosciarmi totalmente in mezzo a finestrelle blu ed un cristo terrificante che sembra volare sopra l'altare con un espressione decisamente inquietante. Più che un luogo di culto sembra un luogo di terrore.
La sera andiamo a Potsdamer Platz e di nuovo mi trovo invischiata in un turbinio di espressioni a bocca aperta e di Ohhh. Questa volta sono le luci e la spazialità del centro Sony a colpirmi. Come però ovunque a Berlino anche qui, in questa giostra di colori, segni di un passato distruttivo vengono evidenziati.
Alcune lastre del muro ricordano come questa piazza solo pochi anni fa fosse divisa e nel mezzo del centro Sony in una teca troviamo l'unica stanza sopravvissuta dell'Hotel Esplanade prima che venisse bombardato durante la guerra. Ormai dopo solo un giorno mi sento abituata a trovare questo miscuglio tra il nuovo, la voglia di ricominciare ed il vecchio, per non dimenticare. E da brava amente dei constrasti impazzisco.

Continua...